Idee verdi, futuro verde - Imperial Bulldog

2022-06-18 21:54:38 By : Mr. Sam Lee

In un mercato lavorativo saturo, in un periodo di crisi, l’unico modo per trovare un impiego è crearselo, magari in una nuova nicchia di settore. Quale? Quella della sostenibilità ambientale, ovvero la meno affollata… per ora. La logica ci spinge verso questa direzione poiché la Green Economy è l’unica cosa che ci riesce a garantire un domani, a partire da oggi. In Italia sono sempre più alti i numeri in favore di questa nuova economia verde che garantisce lavoro, ricchezza e sviluppo in un territorio da valorizzare e non più da sfruttare. Uno scenario confortante che si estende a livello mondiale con un mercato sempre più internazionale in cui lo scambio di idee e la collaborazione sono di primaria importanza.

Tra le ultime imprese di successo ho scelto di parlarvi della Greenrail, nata dall’idea del giovane siciliano Giovanni De Lisi e brevettata in 80 Paesi del Mondo. Si tratta di un’azienda che produce traverse ferroviarie tramite il riciclo di rifiuti di plastica e vecchi pneumatici. Le rotaie si vanno a fissare su questi componenti fondamentali che, normalmente costituiti di calcestruzzo, metallo o legno (le più vecchie), devono garantire stabilità e scarico di peso del treno in transito. La nuova miscela composita di plastica e gomma che avvolge la struttura interna in calcestruzzo armato precompresso, rende queste traverse più performanti e, soprattutto, meno impattanti sull’ambiente rispetto alle classiche. Tra i vantaggi tecnici che offre questa cover esterna brevettata ci sono la maggiore durata del prodotto, minori costi di manutenzione, superiore resistenza allo spostamento laterale dei binari, maggiore isolamento elettrico, resistenza termica ed una riduzione di vibrazioni e rumorosità causate dal traffico ferroviario (pregio anche ecologico in funzione dell’inquinamento acustico). Passando alla sostenibilità ambientale, invece, sottolineo l’enorme contributo che questa azienda può dare nello smaltimento di rifiuti plastici e pneumatici vecchi, in particolare con 35 tonnellate per ogni chilometro di linea (corrispondente a 1670 traverse). Greenrail, inoltre, è l’unica traversa in grado di incorporare tecnologie verdi per la produzione di energia solare (Greenrail Solar, con pannelli fotovoltaici) e la trasmissione di dati diagnostici e di sicurezza (Greenrail Linkbox). Le traverse verdi sono progettate su misura per ogni esigenza e prodotte nei rispettivi Paesi che ne vogliono fare uso; questo perché «si tratta di prodotti che non possono essere trasportati, sia perché pesanti (ogni traversa pesa 300 chili), sia perché, utilizzando materiale da riciclaggio, è opportuno smaltire materiali che sono del territorio». In Italia, con un impianto di media produzione, vengono realizzate all’incirca 600 mila traverse l’anno, mentre negli Stati Uniti, solo per la manutenzione delle linee, sono richieste 20 milioni di traverse l’anno. Un mercato redditizio che potrebbe risolvere (almeno in parte) il grande, grandissimo problema dei rifiuti di plastica. Proviamo a fare due calcoli: l’Italia, con la sua attuale produzione, ricicla ogni anno 12.565 tonnellate di plastica e pneumatici (600.000/1670=359 km di linea X35 ton di materiale da riciclo), mentre negli Stati Uniti si arriverebbe a 419.160 tonnellate (20.000.000/1670=11.976 km di linea X35 ton di materiale da riciclo). L’obiettivo di De Lisi è di arrivare, entro il 2027, a produrre le Greenrail in ogni Paese del Mondo, e noi, se questi sono i numeri del suo riciclo, facciamo tutti il tifo per lui.

Questa impresa risulta decisamente vincente poiché ha creato nuovi lavori verdi (Green Jobs) a partire da un’idea che contribuisce in maniera incisiva a preservare o restaurare la qualità ambientale. Purtroppo, però, le sole traverse verdi non sono sufficienti a risolvere il problema dell’eccesso di plastica nel mondo, soprattutto negli oceani. Piccoli passi avanti si stanno facendo in direzione della soluzione definitiva, ovvero quella di cessare ogni produzione di plastica, a partire da quella monouso; in Europa stanno finalmente aprendo gli occhi e da Maggio 2019 si dovrebbero vedere applicati i termini delle nuove direttive proposte per ridurre i rifiuti marini, costituiti per l’85% da materie plastiche. In attesa della realizzazione di questo sogno quasi utopistico, è bene cominciare ad impegnarsi nello smaltimento di tutta la plastica di scarto fino ad ora accumulata, ma come? Riciclandola ovviamente, in oggetti o strutture permanenti (componenti di scooter, occhiali, imbottiture, tessuti, tubi, secchi, sedie, vasi ecc). È qui che entrano in gioco fantasia, inventiva e, ovviamente, capacità.

Nel porto di Rotterdam, Paesi Bassi, è stato inaugurato il primo parco galleggiante realizzato con i rifiuti plastici raccolti nel fiume, il Recycled Park della Recycled Island Foundation. Nato per incrementare la biodiversità urbana, il parco galleggiante si estende per 1.500 metri quadrati con una catena di piattaforme esagonali sviluppate su più livelli e inverdite con piante idrofile di diverse specie. La vegetazione è stata scelta perché adatta alla nidificazione di uccelli acquatici o utile a richiamare api ed altri impollinatori. La parte sommersa, invece, è stata appositamente progettata per nutrire e far riparare i giovani delle specie ittiche del porto. Il processo di raccolta della plastica necessaria alla realizzazione dei pannelli è durato un anno e mezzo e si è compiuto grazie all’impiego di apposite trappole galleggianti inventate dalla stessa fondazione. Il progetto, considerato come un prototipo da ampliare, ha quindi una duplice valenza, quella di raccolta e riciclo di rifiuti plastici abbandonati nel fiume e l’incremento della biodiversità locale.

Diciamo, però, che prima di poter dare nuova vita alla plastica di scarto è necessario raccoglierla, ma, se questo può risultare relativamente facile in un corso d’acqua o in un lago, è tutt’altra cosa farlo nel mare aperto. Nonostante ciò, a rimboccarsi le maniche e ad avviare quello che sembra essere il piano di pulizia più in voga del momento, è il movimento 4Ocean, fondato nel 2015, a Bali, da due giovani surfisti in vacanza. La fondazione vende braccialetti fatti di plastica riciclata e utilizza i proventi per pagare capitani ed equipaggi locali che puliscono dalla plastica le acque di 27 Paesi. In meno di 2 anni, 4Ocean ha rimosso 1.115.240 chili di rifiuti di plastica dall’oceano e dai litorali. Ogni bracciale venduto, corrisponde ad un chilo di plastica raccolta. Pian piano nuove economie stanno crescendo e le comunità locali dei Paesi meno abbienti vengono educate alla sostenibilità per aiutare a risolvere il problema globale della plastica. La possibilità di far indossare la prova tangibile del proprio contributo alla causa, aiuta ad incrementare il numero di acquisti e, quindi, i fondi per pagare i lavoratori.

Un’idea più impegnativa, dal punto di vista ingegneristico e di realizzazione, proviene da una mente ancora più giovane, ovvero dal diciottenne olandese Boyan Slat. Il ragazzo, fondatore della The Ocean Cleanup, ha progettato un sistema di raccolta passivo che, proprio come la plastica, sfrutta le correnti per muoversi; si tratta di un galleggiante lungo 600 metri a cui è attaccata una rete profonda 3 metri che filtra l’acqua, trattenendo la plastica e confinandola nel centro del suo sistema a forma di U. Sono 5 le grandi zone oceaniche inquinate, tra queste il primo posto va alla Great Pacific Garbage Patch, situata tra Hawaii e California. Con il sistema di raccolta della Ocean Cleanup, già testato con diversi prototipi nel Mare del Nord, la metà di questa isola di plastica galleggiante verrà ripulita in soli 5 anni, a partire dall’8 Settembre di quest’anno. I rifiuti raccolti saranno portati a riva per poi essere riciclati e venduti alle aziende B2C. Le entrate guadagnate contribuiranno a finanziare ulteriori missioni di pulizia nelle altre quattro grandi aree oceaniche più compromesse dalla plastica. Per chi fosse interessato a collaborare alla causa, a Rotterdam ci sono delle posizioni aperte nella società del giovane talento olandese https://www.theoceancleanup.com/careers/ .

In diverse occasioni mi sono chiesta se esistessero delle alternative valide al riciclo di questo materiale tanto utile all’uomo, quanto tossico all’ambiente e alla salute; in effetti si, esiste un modo per degradarla del tutto, dandola in pasto a determinati organismi. Questa soluzione ideale, ancora in fase di studio, eliminerebbe per sempre la plastica, evitandoci di doverla rimettere sempre in circolo con nuove forme e funzioni. Tra gli organismi più studiati vi è il fungo Aspergillus tubingensis, scoperto da un team di ricerca in una discarica del Pakistan. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Environmental Pollution, dove gli scienziati descrivono come l’organismo sia in grado di colonizzare e degradare campioni di poliuretano, scomponendolo in composti di cui si nutre.

Federica Bertocchini, ricercatrice italiana del Cnr, ha invece scoperto come il bruco della cera, Galleria mellonella, riesca a digerire in poco tempo consistenti quantità di polietilene, la cui molecola chimica è simile a quella della cera d’api, il suo cibo naturale. Ad oggi sono molte le ricerche dedicate a questi organismi o al potenziamento degli enzimi PETasi, presenti in diversi ceppi batterici tra cui Ideonella sakaiensis, in grado di smaltire definitivamente la plastica. La strada è ancora lunga, ma è sicuramente ben tracciata.

L’aiuto che ognuno di noi può dare consiste nel non far aumentare troppo il carico di rifiuti plastici da dover smaltire (vedi articolo https://www.imperialbulldog.com/2018/02/20/tempo-mangiar-bene/ ).Basta packaging inutile, basta usa e getta. Buoni risultati si possono ottenere nel modo più banale, pensate solo che in una singola spiaggia di Capaccio-Paestum, in soli 2 mesi, hanno evitato di usare ben 20.000 cannucce, sostituendole con altrettanti Ziti, i maccheroni di pasta. Se non vi sembra ancora un buon risultato per un solo lido turistico, sappiate che ogni cannuccia impiega 500 anni a degradarsi, per un utilizzo di quanti minuti, 10? E tu? Cosa farai per usare meno plastica?

Presentarmi come una Naturalista, prima ancora di specificare il mio nome, è oramai una mia inguaribile usanza distintiva. Sono Marianna Savarese, classe ’91, laureata con lode in Gestione e Tutela del Territorio e delle Risorse Naturali, nata e cresciuta nella bellissima Napoli. Ho sempre saputo quale fosse la mia strada: conoscere e proteggere l’Ambiente. Parallelamente agli studi universitari ho partecipato, e partecipo tutt’ora, a numerose attività di ricerca scientifica in campo; ho collaboro con l'Istituto di Gestione della Fauna con attività di monitoraggio e censimento utili per la stesura di VIA e VAS, per la riqualificazione ambientale e la tutela delle risorse naturali. Dal 2013 ho cominciato a specializzarmi nel competitivo campo degli studi ornitologici, mediante tecniche di cattura e inanellamento a scopo scientifico, presso un sito Natura2000/SIC/ZPS/Ramsar in provincia di Caserta e, ancora oggi, continuo prendendo parte a progetti di biomonitoraggio nazionali e internazionali. A seguito di incarichi come guida naturalistica ed esperto ambientale in progetti scolastici, mi sono molto avvicinata alla delicata sfera della divulgazione scientifica e dell’educazione ambientale; qui posso trasmettere l’entusiasmo e l’interesse che mi caratterizzano. Sono stata responsabile provinciale del settore Educazione della LIPU di Napoli e guida naturalistica esperta del Real Orto Botanico di Napoli. Ora vivo a Milano, ma spesso mi muovo tra Europa ed Africa come Tour leader di viaggi naturalistici.

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