Grande la confusione sotto al cielo, la situazione è eccellente | La Fionda

2022-09-10 02:39:50 By : Mr. Andy Yao

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Dal momento populista al governo dell'emergenza

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NATO, Russia, Cina e stile di vita occidentale alla resa dei conti (e del conto…)

Queste ultime settimane sono state per tutti noi italiani e (oso dire) per tutti noi europei uno choc. Le immagini dell’Ucraina bombardata ma non sottomessa dall’invasione russa ha riavvolto il nastro del nostro immaginario collettivo a scene che non vedevamo (nel migliore dei casi) dagli anni ’90. La mia generazione era bambina a quell’epoca e solo in parte comprendeva cosa succedeva in Iraq prima (la guerra in diretta TV, una novità) e poi il decennio di guerra nel cuore dell’Europa, in Jugoslavia, a pochissimi passi da casa nostra. In realtà da allora le guerre in giro per il mondo e sui nostri schermi (della tv o del pc) non sono mai finite, anzi si sono moltiplicate in un aumento costante di instabilità del sistema, via via che gli equilibri nati dalla Seconda Guerra Mondiale venivano meno. Uno fra tutti l’esistenza stessa dell’URSS.

Lungi dall’essere un mondo perfetto, quello venuto fuori dalla Seconda Guerra Mondiale era un mondo stabile e — in occidente — relativamente libero e ricco. Di più le due cose marciavano insieme anche grazie ad una dialettica interna che non era solo la riduzione, su scala politica, del confronto geopolitico tra mondo capitalistico e mondo comunista. Era un mondo dove più visioni di vita collettiva, all’interno dell’alveo della libertà e del pluralismo, si confrontavano e crescevano. In maniera non totalmente correlata, la fine del compromesso socialdemocratico (anni ’40-’70) in Europa e negli USA, ha anticipato la fine del bipolarismo geopolitico: gli USA hanno vinto e imposto la propria egemonia militare su pezzi di mondo precedentemente in orbita russo-sovietica. Contemporaneamente le condizioni di vita e di avanzamento sociale nel mondo occidentale iniziavano a degradare. La bestia del capitalismo, tenuta faticosamente a freno da sindacati e forze politiche di ispirazione socialcomunista e democratica, poteva finalmente imporre (senza più paura di contropartite) la propria egemonia sulla politica: inizia l’era del neoliberismo, vale a dire la politica utilizzata da industria e grande finanza per estrarre valore dal concetto stesso di cittadinanza, smantellando prima e privatizzando poi quei capisaldi del welfare state come sanità, istruzione, mobilità, pensioni che erano i grandi risultati del movimento operaio, vale a dire piccole e grandi vittorie del lavoro sul Capitale.

Oggi, 30 anni dalla fine della “Prima Guerra Fredda” e a quasi 50 dalla fine della socialdemocrazia occidentale, siamo di fronte ad un nuovo scontro che coinvolge direttamente i paesi occidentali, Europa in primis, con lo spettro di un conflitto aperto con la Russia del neozarismo di Putin, un autocrate liberticida di stampo capitalistico.

Profilo interno alle società, profilo dei rapporti tra le nazioni. Per molti questi due assetti sono binari paralleli, a mio avviso invece si intersecano spesso e sono interdipendenti. Di sicuro si influenzano oggi non meno di ieri.

Dopo la fine dell’esperimento sovietico la Russia è diventata bottino di guerra degli oligarchi, spesso ex membri di spicco della nomenklatura sovietica, si sono ritrovati dalla sera alla mattina con tanto potere e nessun controllo e l’ordine — perentorio dell’Occidente vincitore — “arricchitevi, noi compriamo e vendiamo tutto”. In un paese con processi opachi e all’indomani di un colpo di stato fomentato dagli americani, l’ex gigante sovietico si è accartocciato su se stesso, c’è voluto l’uomo forte per ridare alla Russia una prospettiva di potenza e per mettere ordine al caos del far west capitalistico. Si è preso la sua fetta personale (Putin è uomo ricchissimo) e ha detto ai suoi oligarchi (autocratici liberticidi di stampo capitalistico) “io vi garantisco, finché voi garantite il mio regime. Per chi fa il furbo, c’è il Polonio deteinato”. Ad un ex-KGB credi sulla parola su queste cose.

Nel bene e nel male fino agli anni 2000 e dintorni lo sguardo russo era rivolto benevolmente verso l’Europa e l’Occidente (Berlusconi enfatizzava ma non diceva una falsità quando parlava di Russia nella NATO). Ma gli USA non volevano perdere un avversario su cui catalizzare l’attenzione, e il ruolo del cattivo i russi lo sanno giocare bene. Lo hanno fatto del resto per 70 anni, ma questo ha comportato che l’Occidente non potesse più essere un modello, perché andava esecrato, la doppia anima russa (mezza europea, mezza asiatica) ha fatto capolino e via via una nuova asse con Pechino è stata stabilita. Non potendo restare sola, la Russia ha scelto la Cina. Un paese che al di là delle ideologie ha rapporti con Mosca dagli anni ’50, solo che ieri erano lo junior partner. Oggi non più.

La lunga marcia ha portato uno dei paesi più poveri del mondo a diventare primo partner commerciale di quasi tutte le nazioni asiatiche, africane ed europee. Gli effetti si sono visti (e si vedranno prossimamente) a causa del Covid. Il lockdown cinese è diventato — de facto — un embargo per l’occidente. Oggi la provincia di Shenzen infetta rischia di spegnere il mondo dell’elettronica interamente.

Deviamo un momento il percorso dalle questioni russo-ucraine, e restiamo focalizzati in Cina. Come ha fatto a diventare un gigante? Tanti fattori: manodopera a bassissimo costo, pianificazione statale dell’economia e un ingresso nel WTO fortissimamente voluto da Clinton. Sperava di legare a doppio filo la Cina all’Occidente americano. 30 anni dopo possiamo dire convintamente, con le parole immortali di Rorschach (quello di Watchman…) che è il contrario: “Non lo avete ancora capito? Non sono io rinchiuso qui con voi… Siete voi rinchiusi qui con me!!!”.

La dipendenza dalla Cina è totale. L’occidente produce sempre meno e soprattutto non produce più le componenti essenziali dell’economia della conoscenza: i semiconduttori. Questo è l’effetto di una scelta ideologica dettata dal capitalismo americano: produrre altrove a basso costo e importare il tutto mentre le economie occidentali diventano tutte a terziario avanzato. La fabbrica del mondo si è spostata, ma è l’economia reale (che magari non farà guadagnare tanto come le speculazioni in borsa) che non smette mai di essere essenziale. La Cina si sta (ri)prendendo il suo ruolo storico di motore economico mondiale, temporaneamente ceduto altrove. E’ la demografia la grande assente dal dibattito europeo, ed è la demografia che impone i ritmi dei rapporti di forza. L’Africa giovane, l’Asia iperpopolata, l’Europa di nonnetti col pannolone. La maggioranza del mondo vuole vivere come noi e visto che alcuni sono già in grado di farlo senza il nostro know how, si stanno chiedendo perché dovrebbero continuare a chiedere il permesso a noi.

In questo periodo gli Europei sono stati i più fortunati e dunque i più oziosi. Mentre gli americani continuavano a tenere ben oliata la macchina bellica e a finanziare o vezzeggiare i propri di oligarchi (tutta la Silicon Valley è di fatto uno spin off del Pentagono) autocratici libertari di stampo capitalistico per produrre nuove tecnologie da impiegare per il soft e l’hard power, noi stavamo al calduccio sotto l’ombrello fornito dalla NATO (aka gli USA fuori dai confini) potendo spendere quel surplus di risorse in welfare state.

L’Europa è ancora (per poco) il luogo più bello, sicuro e protetto dove vivere nel mondo. Si muore tardi, se ti ammali ti curano, hai scuola e università gratuite, è davvero un modello, ma si è fatto sulle spalle di tutti gli altri. Ora che gli USA non ce la fanno più a contenere sia la Russia che la Cina, hanno deciso — e l’Ucraina “capita” a fagiolo — di mandare un segnale a tutti (Russi ed Europei): “sono cazzi vostri, da qui in poi in questo teatro noi ci disimpegneremo, per cui i conti ve li dovete regolare tra di voi”. La Germania ha capito l’antifona e ha raddoppiato per l’anno in corso la spesa militare. Ha fatto bene sono delle pippe, ma comunque si è allineato alle richieste di spesa degli USA: il 2% del PIL. Lo chiedeva non tanto gentilmente Trump, ma anche Obama. Per dire. La Merkel ha fatto pippa per un bel po’. Perché? Perché la Germania e la Russia sono alleati naturali: fabbriche e tecnologia che hanno fame dell’enorme energia che la Russia può vendere. Lo stiamo vedendo in questi giorni, in Germania per la prima volta si parla di povertà se si stacca il gas.

La Germania (come tutti) ha creduto nella bizzarra panzana del capitalismo per cui se i paesi fanno affari tra di loro automaticamente sono interdipendenti e dunque i loro contrasti si attenuano e i loro fini convergono. Il capitalismo ci ha portato al 10% di disoccupazione “per legge” in Italia per stare dentro le regole di Bruxelles. Questo perché anche nel capitalismo ci sono delle declinazioni regionali. C’è capitalismo anche in Cina sia chiaro, e anche tanto, ma c’è anche una presenza dello Stato che ha come scopo sottomettere il Capitale alle necessità dello Stato (leggasi Comitato Centrale del PCC) e finora la necessità dello Stato era portare i cinesi alla piena occupazione e all’arricchimento. Il capitalismo europeo è tagliato su misura per la Germania e i paesi come BENELUX, Austria e Finlandia. Perfino la Francia ormai — dopo la crisi Covid — si sente stretta nei parametri di Bruxelles, ma un dinamismo migliore di quello italiano e una PA che per quanto imperfetta dà le piste alla nostra, hanno permesso a Macron di diventare un paese incubatore di “Unicorni” (le start up tecnologiche da un miliardo di capitalizzazione), nei suoi 5 anni ne ha portate a casa più di 20 (noi ne abbiamo 2) e in questi giorni di campagna elettorale si prodiga (guarda un po’!) per una reindustrializzazione della Francia. Sacrebleu! A questo si aggiunge un capitalismo di Stato che ricorda il nostro pre-svendita (musica triste, si alternano le immagini dell’IRI) e che ha scopi sia sistemici e di supporto all’impresa privata, sia di presenza geopolitica (come da noi l’ENI), sia di garanzia nell’assetto occupazionale francese. Quello a cui noi abbiamo abdicato: una politica industriale.

Da un lato il tramonto americano sull’Atlantico ci costringerà a spendere forze e risorse (non solo economiche, ma culturali) verso il contenimento della Russia: l’abbiamo “costretta” nel ruolo di avversario per far contenti gli USA e i loro pupazzi isterici e reazionari dell’est ex-sovietico, e ora — realisticamente — ce la dobbiamo tenere così. Le sanzioni (che forse si riveleranno un boomerang) l’hanno poi spinta ancora di più tra le braccia del Dragone, sicché ormai quel sodalizio risulterà inscindibile. Ma questo vuol dire che anche la Cina è diventata (indirettamente) nostra “nemica”, almeno nella misura in cui decidendo che gli USA comandano, stiamo alla loro politica estera e non alla nostra.

Ma ora che la UE si riarma (anche l’Italia in questi anni si zitta zitta un po’ riarmata eh…), cioè si rende più o meno autonoma dalla protezione paramafiosa degli americani, potrebbe (il condizionale è d’obbligo) ritagliarsi degli spazi di autonomia. In fondo pur rimanendo incatenati nella logica di blocco USA vs Cina, potremmo trovare il nostro spazio nel Mediterraneo sia come UE ma soprattutto come Italia, anche perché questo famoso esercito europeo è più una fantasia erotica degli spinelliani doc che non una cosa che può vedere la luce realmente. Innanzitutto perché un esercito comune senza una politica estera comune non ha senso, e una politica estera comune si è visto è una eccezione, non è la regola. Fosse dipeso da Berlino il Nord Stream 2 oggi era in funzione. E’ arrivata una telefonata da Washington per fermare tutto, evidentemente. D’altro canto già ora i tedeschi mal sopportano che il sud sprecone utilizzi i suoi soldi, quando mai accetterebbe che la sua macchina bellica appena ingrandita venga comandata (magari contro i suoi interessi) da un Generale greco o un Ammiraglio francese? In tutto questo si capisce che la globalizzazione se non è finita poco ci manca, se invece del mondo multipolare sognato e auspicato da molti (che quindi presumeva un ritiro maggiore degli USA) si ritorna al bipolarismo, ci saranno di nuovo due mondi, non uno iperconnesso e policentrico. Inoltre c’è da chiedersi se il mondo-dollaro dopo le sanzioni alla Russia esisterà ancora o meglio quanta bellicosità costerà all’America mantenere questo primato dopo che la promessa implicita del capitalismo americano (“la proprietà è sacra ed inviolabile”) viene stracciata alla prima occasione?

A noi toccherà fare una parte in questa commedia (o tragedia? o farsa? si vedrà) per via del nostro posizionamento internazionale, certo sarà difficile far digerire ad un Paese già in crisi trentennale, con i più bassi salari dell’Europa occidentale, perennemente messo sotto accusa per un debito che peraltro abbiamo sempre ripagato, e oggi in ginocchio per la combo covid+aumenti+inflazione (freccia su, freccia giù, a, b, BOOM!) a dover tirare fuori i soldi per le spese militari e dover rispettare gli assurdi diktat di Bruxelles.

Delle due una: o atlantici o europei, entrambe le cose non possiamo più permettercelo. Oppure cambia radicalmente la costituzione materiale della UE, ma adesso, non domani…

Io avrei sognato per l’Italia un ruolo di cerniera tra sponda sud e nord del Mediterraneo, un collegamento tra Europa ed Africa, forte di una vocazione di ponte culturale e di piattaforma logistica naturale, in cui non dico che si diventava come la Svizzera, ma quasi. Per far questo ci saremmo comunque dovuti riarmare e puntare sul dominio dei mari, uno, il nostro. In altre parole tornare alla vocazione delle Repubbliche marinare e alla “talassocrazia”. Parliamo di raddoppiare le risorse per la Marina, proporci come fattore di stabilità, difendere le rotte dai pirati nell’Indopacifico. Insomma una robetta maschia ma senza volontà di sottomettere i paesi altrui. Fare affari, commercio, relazioni culturali, diventare un punto di riferimento positivo. Dentro o fuori la UE, magari comunque sotto il cappello americano, ma liberi di diventare una nazione corsara…

Perché dico tutte queste cose? Che relazione hanno tra di loro? Tutto e niente se vogliamo, e ci sono sia imperdonabili semplificazioni che omissioni in questa mia ricostruzione, ma quello che mi premeva mettere in fila (forse in primis per me stesso) sono le condizioni del campo da gioco in cui l’Italia e l’Unione Europea devono giocare. E sopravvivere.

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