Il pestaggio virale di Livorno e il doppio standard strutturale - La Fionda

2022-07-30 02:09:22 By : Ms. Jane Jiang

“Circola in rete un filmato che vede un ragazzo pestato da una donna, e subito l’Italia so-tutto-io si schiera: sicuramente lui l’aveva aggredita, poi il motivo si trova: forse le stava scippando la borsa, forse è uno stalker, forse la stava molestando sessualmente con una vasta gamma di ipotesi che va dal catcalling al tentato stupro. Tutta Italia meno uno. Applausi per Nicola Vanni, responsabile di redazione a Livorno Today”... Avevamo pubblicato un articolo con questo incipit, ma poi qualcosa è cambiato: la redazione di livornotoday ha ricevuto una comunicazione dal legale della signora, per ribadire che la sua assistita si stava effettivamente difendendo da un’aggressione. Attendiamo ulteriori sviluppi, l’avvocato assicura che la battagliera signora denuncerà il suo aggressore (del quale evidentemente conosce le generalità) ma ora è troppo provata per farlo, è traumatizzata e non dorme da giorni. Non dice però l’avvocato se chi ha tentato lo scippo sia un criminale abituale o un balordo occasionale, un tossicodipendente, un extracomunitario o un delinquente del posto, comunque uno sconosciuto che pensava di avere adocchiato una preda facile. Scrive testualmente che la sua assistita è stata aggredita a scopo di rapina “da una persona”. Nulla esclude che la “persona” prossimamente denunciata sia proprio il fidanzato o l’ex fidanzato, come nulla esclude che l’asserito scopo di rapina venga derubricato in altro; scopriremo la verità seguendo gli sviluppi.

Resta il fatto che della signora non ci interessa assolutamente nulla. Il merito che riconoscevamo – e continuiamo a riconoscere – a Nicola Vanni è quello di non lasciarsi coinvolgere nel delirio collettivo smascherando, ad esempio, i frettolosi commenti anche di alcuni politici che dopo mezz’ora già conoscevano una verità che invece dopo 5 giorni è ancora ignota perfino alle forze di Polizia; o le bufale sul fatto che la tizia fosse un ufficiale dell’Esercito, poi una borghese campionessa di arti marziali, poi una marescialla con l’hobby delle arti marziali. Questi particolari sul singolo caso non ci interessano affatto. L’aspetto che coglievamo riguarda alcune dinamiche che studiamo da parecchi anni prima che la signora e “la persona” si azzuffassero a Livorno. Non ci interessano meriti o colpe della signora, sarebbe miope circoscrivere l’analisi al singolo caso, preferiamo analizzare i meccanismi di una disinformazione frettolosa, dozzinale e cialtrona, ma purtroppo dilagante. Ripetiamo quindi il resto dell’articolo, che poi è l’unica analisi che ci interessa replicare.

Il condizionamento delle coscienze vieta di considerare che anche una donna possa essere violenta, se lo è la colpa deve essere cercata - e trovata - nelle colpe della vittima. Tuttavia, ricordiamolo sempre, nulla accade per caso. Ci sono dei solidi perché dietro la rincorsa febbrile di media e politici a magnificare la ragazza livornese, a farne un’eroina, simbolo virtuoso delle donne che sanno difendersi dal maschio violento, aggressore, patriarcale. Forse qualcuno già pregustava di costruirle un futuro in politica. È la discriminazione di genere, quando il genere discriminato è quello maschile. È il pregiudizio sessista che ama dividere l’umanità in buoni e cattivi, per cui l’uomo è oppressore e la donna oppressa, l’uomo è carnefice e la donna vittima, l’uomo è il Male del mondo e la donna è il Bene. Nessuno sapeva di preciso in cosa consistesse la minaccia, se nel tentativo di furto, di molestia sessuale o altro ancora, ma in tutti gli scodinzolanti commentatori vi era l’incrollabile certezza che lei si fosse ribellata all’aggressione di lui. Chissà cosa avrà fatto lui per spingerla a tanto, se lei lo ha gonfiato di botte prendendolo a calci e sberle avrà avuto i suoi motivi; quindi fantasia a briglia sciolta per inventarli, ‘sti motivi. Cialtronata inesistente a ruoli invertiti, la violenza maschile non è mai giustificabile. Sacrosanto. Diventa giustificabile, anche arrampicandosi sugli specchi, quando la violenza è femminile. E questo sacrosanto non lo è affatto.

Magliette, canotte, felpe uomo/donna, più svariati gadget con immagini ispirate ai temi e all'impegno de "La Fionda".

Per distinguersi dal pensiero unico e dalla massa.

Clicca qui per il negozio online.

normalitàcambiarealtaprivilegionondimenticovacmalmorprofessionistinformazionefamiglia2345.1ignoranzapadrefiglio5.2complessitàvittimvirtucoraggiobbedienzanascecoraggiocontagiosotribmincoraggiocontagiosonoiainfluencergratisfactautopercdonnanonfemministaribellarsivaccinomedia

Qualche testolina particolarmente faziosa ricomincerà a sbraitare accusandomi di inneggiare all’odio e alla violenza contro le donne; dimostrando però, ancora una volta, di non essere in grado di capire. A me della tizia livornese non importa nulla, ma veramente nulla. Non suggerisco alle folle di odiarla, non chiedo provvedimenti giudiziari o la gogna mediatica per rimediare alle menzogne, non fomento la shitstorm sul web per ristabilire un equilibrio violato.  Del caso singolo si è occupato egregiamente Nicola Vanni, io tralascio il caso singolo e vado oltre per osservare altro, e questo altro è la deriva maschiofobica che inquina i media e non solo. È il frutto di anni ed anni di condizionamento delle coscienze che ha ormai ingabbiato la collettività dentro schemi mentali chiusi, mappe mentali malate, pregiudizi sessisti. Se un uomo è violento la colpa è dell’uomo, se una donna è violenta la colpa è sempre dell’uomo. Un paio di esempi concreti.

Clem Taylor, giornalista statunitense scomparso nel 2014 e produttore della trasmissione Prime Time per la rete NBC news, nel 2006 ha effettuato un esperimento avvalendosi di una troupe composta da 2 psicologi, un sociologo e un antropologo, oltre a tecnici audio ed operatori video. Un esperimento con un minimo di serietà, non una roba acchiappashare stile isola dei famosi. Due attori, una ragazza e un ragazzo, simulano una lite di fronte ad alcune telecamere nascoste, mentre la troupe registra le reazioni dei passanti. Prima fase: lui aggredisce lei. Parco pubblico, ore 16. La lite è pianificata secondo modalità aggressive crescenti: all’inizio l’attore insulta la ragazza, poi la picchia con un giornale, quindi le strattona gli abiti, la spintona, la afferra per i capelli. La tipologia dei passanti è estremamente varia, anche per quanto riguarda la fascia d’età: una comitiva di ragazzi, una giovane donna col cane, una coppia di anziani, due joggers, un uomo corpulento con la figlia, diverse mamme con bambini delle quali una con la carrozzina, un anziano col bastone, una coppia in bicicletta, etc. Ogni passante ha mostrato interesse per la lite e si sono registrate reazioni secondo una scala crescente: chi ha espresso il proprio biasimo semplicemente fermandosi a formare un circolo intorno ai due attori, chi è intervenuto verbalmente (invitando il ragazzo a smettere, insultandolo o minacciando di chiamare la polizia), chi fisicamente (separando gli attori, bloccando il ragazzo, in un caso anche gettandolo a terra). “Passante” è forse un termine improprio in quanto la lite - pur svolgendosi volutamente in prossimità di un viale di passaggio - ha richiamato l’attenzione e il successivo intervento anche di gente non esattamente prossima al set.

Seconda fase: lei aggredisce lui. L’esperimento a ruoli invertiti è stato ripetuto cambiando giorno e orario, per evitare di incontrare frequentatori abituali del parco che potessero smascherare una scena già vista. Lei aggredisce lui secondo le identiche modalità crescenti della prima fase: urla, insulti, giornale, abiti, spintoni, capelli. Nessuno dei passanti è intervenuto, nemmeno fermandosi. Qualcuno da lontano si è mostrato incuriosito e ha palesemente indicato i litiganti, ma senza avvicinarsi. Nessun tipo di intervento, nemmeno il più blando, ognuno ha continuato per la propria strada e più di un soggetto ha mostrato empatia per la ragazza-offender invece che per il ragazzo-target, invitando lei a picchiare più forte, ridendo, mimando le percosse. L’esperimento è quindi entrato nel vivo: i soggetti che hanno assistito alla seconda fase sono stati fermati, è stato loro spiegato che si trattava di una candid camera ed è stato somministrato un questionario con la liberatoria e la richiesta di precisare i motivi del loro comportamento. Tutti hanno dichiarato «chissà lui cosa le aveva fatto per spingerla a tanta violenza». La dimostrazione empirica della cortina di pizzo, teoria di Warren Farrell (in "The Mith of Male Power", 1993): se un uomo è violento l’attenzione si concentra sull’efferatezza del gesto, se quella violenta è una donna l’attenzione si concentra sui motivi che la avrebbero costretta ad essere violenta.

In particolare una delle persone intervistate (un uomo) ha aggiunto che la donna violenta non può essere un problema: visto che per secoli hanno subito, è normale che ora si ribellino insultando, picchiando, aggredendo, anche uccidendo. Pur se si tratta di una singola opinione, è da considerare anche quest’ultima chiave di lettura; il carattere risarcitorio della violenza femminile potrebbe far si che l’episodio non venga valutato in quanto tale, ma come legittima reazione a violenze subite da altre donne, in altri tempi e altri luoghi. Quindi è giusto che un uomo subisca violenza; il motivo infatti non va ricercato nella eventuale colpa della vittima, ma si annida nelle colpe accumulate dai suoi antenati. Teoria quantomeno singolare. Se fosse valida, oggi renderebbe legittima l’uccisione di qualsiasi tedesco da parte di qualsiasi ebreo, di qualsiasi bianco da parte di qualsiasi nero, di qualsiasi sacerdote da parte di qualsiasi eretico.

Un esperimento analogo a quello di ABC NEWS è stato ripetuto nel 2014 a Londra, nell’ambito della campagna di sensibilizzazione ViolenceIsViolence. Il video è stato trasmesso anche in Italia da Repubblica TV e ripreso da Fanpage. Le reazioni dei passanti inglesi sono identiche a quelle registrate 8 anni prima negli USA: ironia e curiosità quando un uomo viene aggredito da una donna, nessuna preoccupazione, nessuna empatia per la vittima maschile, nessun intervento per arginare la violenza femminile. In America e in Inghilterra si trattava di esperimenti sociali con attori, in Italia è vita vissuta con personaggi reali. Ma non cambia nulla. Da ultimo, può essere utile notare la differenza, sia mediatica che giudiziaria, in base a chi faccia cosa. Tre giorni prima del fatto di Livorno, ad esempio, un altro episodio di violenza ingiustificabile: a Trieste un muratore rumeno viene arrestato, aveva scoperto la moglie a letto con un uomo e aveva reagito con violenza, pur senza prenderla a calci e pugni la aveva trascinata in strada seminuda e le aveva strappato il cellulare per controllare da quanto tempo andasse avanti la tresca. Poi aveva chiesto la separazione ed era tornato in Romania. Rientrato in Italia, scattano le manette. Comprensibile la rabbia per il tradimento in flagranza, comprensibile lo sconforto e l’umiliazione per aver scoperto che il proprio matrimonio è inquinato dalla menzogna e dall’inganno, comprensibile anche la disperazione per un progetto di vita che si disintegra… ma qualsiasi reazione violenta è sempre da condannare. Sempre. Almeno quando il violento è un uomo.

P.S.: per le testoline semplici semplici, quelle che proprio non ce la fanno: ecco un aiutino. Questo articolo non è un incitamento all’odio, non è una legittimazione della violenza maschile, non è un inno alla violenza contro le donne. È una contestazione al doppio standard politically correct che considera grave solo la violenza maschile e si dimostra sempre pronto, anche con fake news, a legittimare quella femminile.

I contenuti de "La Fionda" sono realizzati dai suoi autori e sono protetti da licenza CC BY-NC 4.0

Questo sito sopravvive grazie all'impegno civico ed economico di chi l'ha creato e lo tiene vivo. Non ha introiti pubblicitari, né riceve fondi pubblici.

Svolgiamo il nostro compito con la massima serietà possibile, affrontando tematiche delicate da un punto di vista poco gradito al pensiero unico dominante. Ciò che diciamo è per molti estremamente scomodo. Questi molti però non ci affrontano nel dibattito aperto, da cui anzi ci escludono. Ma non gli basta ancora.

Si sta usando l'arma giudiziaria per zittirci, la denuncia per imbavagliarci, la querela per spegnere la nostra voce. Nell'ultimo periodo ne stanno arrivando a pioggia e hanno l'unico scopo di intimidirci e farci fallire dal lato economico.

Niente ci può intimidire, ma senza un aiuto non potremo reggere dal lato economico e saremo costretti a terminare l'iniziativa de "La Fionda". Abbiamo bisogno di creare un fondo di solidarietà per le spese legali e per questo chiediamo il tuo aiuto.

Autore straniero (ghanese), movente economico.

Strumentalizzazione analoga ai casi n° 3, 32, 46 e 73. Strage familiare compiuta da Alessandro Pontin che uccide i due figli e poi si suicida.  Ha ucciso indifferentemente Pietro e Francesca, senza distinzione di genere. Però la narrazione sottintende che quando ha ucciso Pietro lo ha fatto per morire insieme ai suoi figli, quando ha ucciso Francesca lo ha fatto per oppressione maschilista. Quindi se pugnala il figlio maschio è dramma della follia, invece per la figlia femmina è dramma del patriarcato, è stata uccisa inquantodonna e viene conteggiata tra i femminicidi.

Si grida subito al femminicidio, che l’assassina sia una donna si viene a sapere solo in seguito, quando spunta un video che riprende l’assassina mentre sferra la coltellata mortale. Ma l’episodio resta catalogato tra i delitti con movente di genere, Ylenia sarebbe vittima del patriarcato, uccisa inquantodonna in un Paese irrimediabilmente maschilista.

Strumentalizzazione analoga al caso n° 46. Strage familiare compiuta da Alberto Accastello che uccide la moglie, i due figli, il cane e poi si suicida.  Ha ucciso indifferentemente i gemelli Alessandro ed Aurora, senza operare distinguo in base al genere. Però quando ha ucciso Alessandro lo ha fatto per annientare l’intera famiglia ed annientarsi, quando ha ucciso Aurora lo ha fatto per oppressione patriarcale. Quindi quando spara al figlio maschio è un dramma della follia, la figlia femmina invece è stata uccisa inquantodonna e viene conteggiata tra i femminicidi.

La donna è morta per una tragica fatalità: il fratello di Paola Maria tampona lo scooter sul quale viaggiano lei ed il fidanzato. L’obbiettivo è proprio il fidanzato, dopo aver provocato l’incidente si scaglia su di lui per pestarlo e minacciarlo, vuole che interrompa il rapporto con la sorella. L’intento, anche se con modalità delinquenziali, è quello di proteggerla, non di ucciderla. Nemmeno si accorge che Paola Maria cadendo ha battuto la testa ed è morta. Di fatto è l’esito tragico ma involontario di un incidente stradale, anche se provocato. Però viene conteggiato come femminicidio. Episodio già analizzato a fondo su "La Fionda".

Autore straniero (marocchino), movente economico.

Movente economico associato a disturbo mentale.

Oltre al movente economico e al disturbo mentale dell’assassino, si aggiunge il fatto che la vittima è un transessuale che si prostituisce. Biologicamente uomo, pPerò viene conteggiato tra i femminicidi.

Mario Bressi, in via di separazione dalla moglie, uccide i due figli e poi si suicida lanciandosi da un cavalcavia. Ha ucciso indifferentemente Diego ed Elena, senza distinzione di genere, la follia omicida lo avrebbe spinto ad uccidere ed uccidersi anche se avesse avuto due figli maschi. Nel suo delirio ha ucciso i figli per non separasi più da loro, quindi per un eccesso d’amore patologico. Però quando ha ucciso il Diego lo ha fatto per restare per sempre insieme a lui, quando ha uccido Elena lo ha fatto per oppressione di genere. Quindi per Diego è dramma della follia, Elena invece è stata uccisa inquantodonna ed è femminicidio.

Dinamiche simili si ripetono con continuità, anche in occasione di delitti con movente economico. Ad esempio la strage di Formia del 9 gennaio (n° 3) nasce da un’eredità contesa, l’assassino uccide la cugina Fausta Forcina ed il marito, poi si suicida. Anche in questo caso tre decessi, due uomini ed una donna. Per gli uomini il movente è esplicitamente legato a considerevoli interessi economici, per la donna bisogna fantasticare che sia stata uccisa inquantodonna per poterla inserire nel computo dei femminicidi.

Il padre bengalese in un raptus di follia tenta di uccidere entrambi i figli, un maschio ed una femmina, poi nel suo delirio esce nudo in strada, sporco di sangue e col coltello in mano, voleva uccidere ancora.

Il maschietto riesce a sopravvivere ma la femminuccia muore. Il femminicidio quindi si configura esclusivamente in base al genere della vittima, a prescindere da movente, contesto familiare e modalità omicidiarie che sono identiche per entrambi i bambini

Autore straniero (ucraino), con movente economico e disturbi mentali.

La strage del 31 gennaio a Mussumeli registra tre decessi: la madre, la figlia e l’ex amante della madre che dopo aver ucciso le due donne si toglie la vita. Il movente passionale è verosimile per l’uccisione della madre, assassinata dall’ex che non accettava la separazione. Una morbosa sensazione di possesso - ipotizzano gli inquirenti - può avere armato la mano dell’assassino. Nulla di tutto questo è invece valido per la figlia, il movente non è passionale e non può essere ricondotto né alla mancata accettazione della separazione, né alla gelosia morbosa, né al possesso maschilista, al patriarcato, etc.

Semplicemente la ragazza si è trovata nel posto sbagliato e nel momento sbagliato, l’omicida ha fatto strage di chiunque fosse in casa compreso se stesso, nessuno può escludere che la figlia sarebbe stata uccisa anche se fosse stata un figlio, un nipote, uno zio. Infatti le cronache riferiscono che “l’altro figlio di Rosalia si è salvato dalla strage perché non era in casa”. Quindi nonostante la seconda vittima sia una donna, l’oppressione di genere non può essere il movente.

Autore del delitto straniero (tunisino).

Assassino straniero (rumeno) per movente economico.