Microplastiche nei polmoni, quali rischi per la salute?

2022-07-30 02:06:27 By : Ms. Hathaway Wang

Oggi 28 luglio 2022 - Aggiornato alle 20:00

Microplastiche su delle dita- Credit: iStock

Ecco i risultati delle ricerche più recenti.

Negli ultimi anni abbiamo tutti imparato a familiarizzare con il termine microplastiche. Si tratta di minuscoli frammenti di materiale plastico, di solito inferiori ai 5 millimetri di lunghezza. In base alla loro origine, si suddividono in due categorie: microplastiche primarie e secondarie. 

Le microplastiche primarie vengono rilasciate direttamente nell’ambiente sotto forma di piccole particelle. Si stima che questa categoria di frammenti rappresenti il 15-31% delle microplastiche presenti attualmente negli oceani.

Le microplastiche primarie provengono, ad esempio, dal lavaggio di capi sintetici, dall’abrasione degli pneumatici durante la guida o dall’utilizzo di prodotti per la cura del corpo che le contengono (dentifrici, scrub viso-corpo, ecc.).

Le microplastiche secondarie, invece, sono prodotte dalla degradazione degli oggetti di plastica più grandi, come bottiglie, sacchetti di plastica o reti da pesca. Rappresentano all’incirca il 68-81% delle microplastiche presenti negli oceani.

Nel 2017 l’ONU ha dichiarato che ci sono 51mila miliardi di particelle di microplastica nei mari (e il dato, purtroppo, aumenta di anno in anno): 500 volte più numerose di tutte le stelle della nostra galassia. Le microplastiche presenti in mare possono essere inghiottite dagli animali marini. Attraverso la catena alimentare, la plastica ingerita dai pesci può così finire nel cibo che mangiamo e, quindi, nel nostro organismo.

Questi minuscoli frammenti sono stati trovati in alimenti e bevande, tra cui birra, miele e acqua del rubinetto. Non c’è nulla di cui stupirsi, dunque, se di recente sono state rilevate microplastiche anche nel sangue e nelle feci umane.

Già da qualche anno gli scienziati stanno analizzando i rischi legati all’inalazione e all’ingestione delle microplastiche. Un mese fa è arrivata una delle tanto temute conferme: le microplastiche possono depositarsi in profondità nei nostri polmoni.

La notizia è stata pubblicata lo scorso aprile sul prestigioso quotidiano britannico The Guardian. Fa riferimento ai risultati di una ricerca pubblicata da Science of the Total Environment e realizzata da un team di ricercatori e medici del Regno Unito.

L‘inquinamento da microplastiche, ormai onnipresenti in tutto il pianeta, rende l’esposizione umana inevitabile. 

Sono queste le conclusioni dello studio basato sull’esame del tessuto polmonare, prelevato da 13 pazienti sottoposti a intervento chirurgico. Le analisi, che sono riuscite a rilevare le particelle di plastica fino a dimensioni di 0,003 mm, hanno confermato la loro presenza in undici casi.

Utilizzando la spettroscopia, è inoltre stato possibile identificare anche la categoria specifica di materiale plastico: le microplastiche più comuni sono risultate quelle derivate dal polipropilene, utilizzato prevalentemente negli imballaggi e nei tubi, e dal Pet, impiegato soprattutto nella produzione di bottiglie monouso.

Due studi precedenti avevano portato allo stesso tipo di scoperta, anche se in persone decedute e analizzate durante l’autopsia.

Secondo il gruppo di ricerca, gli esiti delle analisi confermano che le microplastiche sono presenti nell’ambiente in varie forme, aggiungendo nuovi elementi alle ricerche sulla diffusione delle sostanze plastiche nelle acque, nel suolo e nell’aria.

Lo studio, comunque, si concentra principalmente sui dati raccolti, senza fare ipotesi sull’eventuale pericolosità della costante esposizione alle plastiche di alcune aree del nostro organismo estremamente delicate, come quelle polmonari. “Non ci aspettavamo di trovare il maggior numero di particelle di materiale plastico nelle regioni inferiori dei polmoni – ha dichiarato al Guardian una delle autrici dello studio, Laura Sadofsky –.

Tuttavia, si tratta di una scoperta sorprendente, in quanto le vie aeree sono più piccole nelle parti inferiori dei polmoni e ci saremmo aspettati che particelle di queste dimensioni venissero filtrate o intrappolate prima di arrivare così in profondità”. 

Questi dati rappresentano un importante passo avanti nel campo delle conoscenze sull’inquinamento atmosferico. Si tratta di informazioni che potrebbero essere utilizzate per creare condizioni realistiche in laboratorio, per determinare l’impatto delle microplastiche sulla salute. Il Guardian ha anche evidenziato che il ritrovamento di microplastiche nei polmoni non rappresenta una novità.

Come già accennato, studi precedenti ne avevano rilevato la presenza nel tessuto polmonare prelevato durante le autopsie. Una ricerca condotta nel 2021 in Brasile le aveva trovate in 13 su 20 persone analizzate. In quel caso, tra le particelle più diffuse spiccava il polietilene, cioè il materiale utilizzato per produrre i sacchetti di plastica.

Un altro studio, condotto nel 1998 negli Stati Uniti su pazienti affetti da cancro ai polmoni, aveva inoltre rilevato fibre di plastica e fibre vegetali (come il cotone) in più di 100 campioni.

È quindi noto da tempo che molti di noi respirano quotidianamente queste minuscole particelle, oltre a ingerirle attraverso cibo e acqua. In particolare i lavoratori del settore plastico risultano esposti in maniera più elevata e quindi rischiano di sviluppare malattie.

Alle ricerche già citate, poi, ne va aggiunta un’altra, tra le più recenti, realizzata e diffusa lo scorso marzo dall’Università di Amsterdam. In questo caso sono state rilevate microplastiche per la prima volta nel sangue umano: un dato che ha evidenziato che queste microparticelle possono “viaggiare” all’interno del nostro corpo e depositarsi negli organi.

Ciò che è ancora da definire con precisione è l’impatto sulla salute. Un tema rispetto al quale i ricercatori sono preoccupati, perché hanno verificato in laboratorio che le microplastiche causano danni alle cellule umane ed è risaputo, ad esempio, che il micro-particolato che deriva dall’inquinamento atmosferico entra nel corpo e causa milioni di morti precoci.

Al momento le scuole di pensiero sono due. La prima ritiene che le microplastiche sono così piccole che, almeno per il momento, non esistono rischi reali per l’uomo.

La seconda, invece, sostiene che questa sia una lettura eccessivamente ottimistica e che, comunque, non essendo né la produzione, né il consumo di plastica, in diminuzione, la situazione non potrà che peggiorare.

La comunità scientifica è consapevole di quanto siano urgenti e necessarie ricerche più dettagliate su come micro e nanoplastiche influenzano strutture e processi del corpo umano e se e come possono trasformare le cellule e indurre cancerogenesi.

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