Moda sostenibilità e storytelling: dal Re-nylon di Prada alla pulizia dell'Everest di Bally

2022-09-17 02:06:57 By : Mr. Leo Lo

Dalle notizie di questi giorni sembra che il mondo della moda sia in pieno risveglio di coscienza con iniziative che puntano alla sostenibilità e progetti di comunicazione che li trasformano in storie (belle) da raccontare. Come queste

Moda, impatto ambientale e storytelling: aprendo i giornali (pardon, i siti web) in questi giorni sembra che il mondo del fashion sia in pieno risveglio di coscienza con iniziative che puntano alla sostenibilità e progetti di comunicazione che li trasformano in storie (belle) da raccontare.

Si parte con Prada, che insieme a National Geographic rilascia il documentario a puntate What we carry (che cosa portiamo, leggi quanto pesiamo sul mondo che ci circonda), per raccontare gli obiettivi, le intenzioni e la realtà di Prada Re-Nylon, il progetto che mira a trasformare entro il 2021 tutti i capi e gli accessori del brand, borse comprese, in pezzi sostenibili grazie all’uso dell’Econyl, un filo di nylon realizzato con rifiuti di plastica recuperati negli oceani, come reti da pesca, o destinati alle discariche.

Un progetto “di prodotto” che esce dalla fabbrica per trasformarsi in storia da raccontare, 5 cortometraggi per un viaggio tra i continenti alla scoperta della fonte da cui provengono i materiali riciclati per l’Econyl.

Nel primo episodio Bonnie Wright, attrice e reporter per Prada, e Asher Jay, artista ambientalista e inviata di National Geographic ci portano a Phoenix, in Arizona, nel più importante impianto statunitense di riciclo di tappeti, in cui vengono lavorate 16.000 tonnellate di materiale all’anno.

Nel secondo episodio di What we carry siamo con Adut Akech Bior, modella australiana, originaria del Sud Sudan, e reporter per Prada e Joe Cutler, esploratore National Geographic e ambientalista impegnato nella difesa delle acque dolci. Li seguiamo nel loro viaggio verso il lago Ossa, uno dei laghi più grandi del Camerun, che fornisce un sostentamento vitale per le persone che vivono nei dintorni, motivo per cui nelle sue acque sono state abbandonate centinaia di reti da pesca usate. Oggi le comunità lavorano con Net-Work, un progetto sostenuto dalla Zoological Society di Londra che mira a recuperare le reti dal lago Ossa per poi riciclarle, depolimerizzarle e trasformarle nel nylon rigenerato.

Molto lontano, sulla cima dell’Everest, Bally ha inaugurato Peak Outlook, il suo piano di spedizioni per ripulire le tonnellate di spazzatura che oggi inquinano il paesaggio in quota. Per farlo ha scelto la vetta più alta dell’Asia, un paesaggio da sogno la cui immagine reale è molto lontana dall’idea delle distese di roccia, ghiaccio e neve che abbiamo imparato a immaginare guardando la tv. Ad aprirci violentemente gli occhi è stata una recente inchiesta del New York Times, che definisce la situazione “uno zoo”: furti, alpinisti in coda per i selfie e cumuli di spazzatura.

Il risultato della spedizione di Bally, guidata da Dawa Steven Sherpa e dal suo team di scalatori originari delle più alte regioni dell’Himalaya nepalese, è stato la raccolta di oltre una tonnellata di rifiuti, più di metà della quale nella cosiddetta Zona della Morte, al di sopra degli 8000 metri, dove l’ossigeno disponibile è un quarto del necessario alla sopravvivenza umana sul livello del mare.

Anche in questo caso, uno storytelling consapevole, che trae origine dalla storia che lega Bally e l’Everest (nel 1947 Tenzing Norgay indossò per la prima volta gli stivali in renna di Bally, che nel 1953 lo accompagnarono nella storica conquista del “tetto del mondo” con Sir Edmund Hillary) per raccontare un approccio nuovo delle case di moda del lusso rispetto al mondo, che deve essere inevitabilmente più consapevole del proprio impatto e dei valori che veicola, non solo attraverso i prodotti quanto nella cosiddetta attitude.

Chiudiamo con un terzo episodio, l’ultimo, quello che ci ha fatto dire: ma allora è un movimento! È il progetto di un altro marchio svizzero, On, specializzato in scarpe da running. Anche qui si intrecciano prodotto, narrazione e sostenibilità.

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Il prodotto è la prima scarpa da trekking del brand, la narrazione è in un rifugio di montagna minimalista a circa 2.500 metri di altezza sul Piz Lunghin, una montagna delle Alpi svizzere, accessibile solo a piedi, e a impatto zero.

The On Mountain Hut, progettato per mostrare la valle in cui i co-fondatori Olivier Bernhard, Caspar Coppetti e David Allemann, hanno concepito il marchio On, è un’architettura temporanea rivestita in materiale ondulato riflettente, in modo da avere un impatto visivo minimo, alimentata dall’energia proveniente dai pannelli solari e da acqua piovana naturale. L’interno, quasi interamente in compensato, può ospitare due persone, e sfrutta al massimo la vista panoramica sull’Engadina.

A tenere insieme questi tre progetti molto diversi tra loro, oltre al comune obiettivo per la salvaguardia del pianeta, è la riscoperta del potere della storia, con cui gli esseri umani hanno sempre ricordato, intrattenuto o persuaso i loro simili: farmi sentire in colpa per il mio stile di vita (un approccio utilizzato spesso in settori come i cambiamenti climatici e la sicurezza) non mi farà cambiare, ma se mi farai credere nella soluzione che hai escogitato, mi offrirai la possibilità di essere parte di qualcosa e mi coinvolgerai, molto probabilmente vorrò far parte della tua storia.